Utile e cassa: perché sono due cose diverse

Confondere l’utile con la cassa è un equivoco molto diffuso e può avere conseguenze pericolose.

Al contrario, conoscere bene ciò che lega il flusso di cassa al risultato economico è alla base di una buona gestione aziendale.

Qualche giorno fa ho involontariamente ascoltato un pezzo della conversazione tra due persone che camminavano a fianco a me.

“Stavamo pensando cosa fare con l’utile, dopo che il commercialista ce l’ha comunicato”, diceva uno all’altro, “ma quando abbiamo guardato sul conto corrente abbiamo scoperto che non c’era niente!”

Per iniziare dobbiamo fare alcune precisazioni.

Cos’è l’utile

L’utile è il risultato economico cioè il guadagno che hai maturato in un certo periodo. Per un’azienda è dato dai ricavi di vendita meno i costi. Se il risultato di questa sottrazione è negativo, cioè i costi sono più grandi dei ricavi, il risultato economico negativo si chiama perdita.

I ricavi sono il valore dei beni venduti e dei servizi erogati in quel periodo, che io li abbia incassati o meno non ha importanza.

I costi sono rappresentati dal valore delle risorse (ore di lavoro, materie prime, merci, chilowatt di energia, benzina, ecc.) che ho consumato per fare quelle vendite. Anche in questo caso ai fini del calcolo del risultato economico è ininfluente che io li abbia pagati o meno.

Cos’è il flusso di cassa

Con la parola cassa si intendono invece le disponibilità liquide di una persona o di un’organizzazione, quello che nel linguaggio comune definiamo soldi.

Che siano nel nostro portafogli, nel salvadanaio, nel conto in banca o alla posta poco importa purché siano liberi da vincoli e disponibili.

Quando si analizza la cassa però non è tanto importante la sua consistenza in un dato istante, quanto la variazione che questa ha subito in un certo periodo, il cosiddetto flusso di cassa o cash flow.

Infatti, se alla fine dell’anno mi trovo con 40.000 € sul conto in banca, la mia reazione sarà:

  • di allegria, se ho iniziato l’anno con 100 € sul conto (flusso di cassa = più 39.900 €);
  • di preoccupazione, se all’inizio dell’anno avevo 100.000 € (flusso di cassa = meno 60.000 €).

Perché sono diversi

Utile e cash flow sarebbero uguali solo in un mondo teorico dove:

  • tutti incassano e pagano immediatamente;
  • non vengono fatte scorte;
  • non si fanno investimenti;
  • non vengono accesi o rimborsati prestiti;
  • i soci non aumentano né riducono il capitale;
  • gli utili non vengono prelevati.

Dal momento che questa situazione è praticamente impossibile, ecco che l’aumento o la diminuzione della cassa rispetto al valore di inizio periodo non coincide praticamente mai con il risultato economico realizzato.

Un esempio

Analizziamo solo la prima di queste possibili cause, quella relativa ai diversi tempi di incasso, rimandando le altre ad altri articoli più tecnici sul cash flow.

E facciamolo con un esempio al di fuori dell’ambito aziendale.

Utile uguale

Tre amici, Aldo, Giovanni e Giacomo trovano lavoro il primo gennaio presso tre datori di lavoro diversi con una retribuzione ciascuno di 1.000 € al mese (guadagno).

Aldo però viene pagato per il primo anno di lavoro, integralmente al 1° gennaio, pertanto riceve un anticipo di 12.000 € sul suo conto corrente. Beato lui!

Gli accordi con Giovanni prevedono il pagamento alla fine di ogni mese.

Giacomo, invece, riceverà il versamento dell’intera retribuzione dell’anno, posticipato al 31 di dicembre. Poveretto!

Cassa diversa per i tempi di incasso

Analizziamo la situazione in un momento intermedio qualsiasi, ad esempio il 30 di aprile, nell’ipotesi che nessuno dei tre abbia speso un euro.

  • Aldo: guadagno fino a fine aprile 4.000 €, variazione di cassa 12.000 €;
  • Giovanni: guadagno 4.000 €, variazione di cassa 4.000 €;
  • Giacomo: guadagno 4.000 €, variazione di cassa 0 €.

Tutti e tre quindi hanno maturato 4.000 € di utile perché hanno lavorato 4 mesi prestando i propri servizi ad un’azienda che, a sua volta, ha utilizzato cioè consumato il loro lavoro.

Se tutti sono partiti senza un fondo cassa iniziale, e se non hanno speso nulla nel frattempo, i tre disporranno al 30 aprile rispettivamente di: 12.000, 4.000 e zero €.

Se il 30 aprile decidono di licenziarsi, le conseguenze dal punto di vista della liquidità saranno le seguenti:

  • Aldo: 12.000 € di cassa meno 4.000 € guadagnati, deve restituire 8.000 €;
  • Giovanni: 4.000 € di cassa meno 4.000 € guadagnati, è a posto;
  • Giacomo: 0 € in cassa ma 4.000 € guadagnati, deve riceverne 4.000.

A questo punto ci viene automatico fare una considerazione.

La cassa prima o poi coincide con l’utile…

Ovvero i tre amici, alla fine del loro breve periodo di lavoro, avranno guadagnato complessivamente 4.000 € e avranno ricevuto in cassa complessivamente la stessa somma.

Ma dobbiamo esprimere meglio questo concetto: la somma dei risultati economici realizzati in più periodi e il totale delle variazioni di cassa coincidono nel lungo periodo.

…ma è questione di tempo

Quindi, è solo questione di aspettare, ma l’attesa può anche durare anni.

Per un lavoratore dipendente l’eguaglianza perfetta tra guadagnato e incassato si raggiunge alla fine del suo periodo lavorativo presso una stessa impresa.

Gli sfasamenti tra maturazione del guadagno e pagamento infatti avvengono:

  • durante ogni mese: dal momento che a metà mese ha già maturato mezzo stipendio, ma questo viene corrisposto solo alla fine del mese;
  • durante ogni anno: visto che a giugno avrà già maturato mezza tredicesima, ma verrà pagata a dicembre;
  • durante tutta la vita lavorativa: perché ogni anno matura un po’ di liquidazione ma la incasserà solo alla fine del rapporto di lavoro.

Quindi avrà incassato tutto ciò che ha guadagnato solo dopo diversi anni.

Lo stesso discorso vale per un progetto, un cliente o per l’intera impresa.

Per ora ci siamo soffermati ad analizzare solo gli effetti dei tempi di incasso, ma la differenza tra utile e cassa è un tema da tener sempre ben presente perché può determinare alcuni pericoli. Esaminiamo i rischi delle due situazioni estreme.

Rischio n° 1: più cassa che utili

È la situazione di Aldo che deve essere in grado di amministrarsi in modo oculato, gestendo le sue spese durante l’anno. Certo che, avendo un gruzzoletto a disposizione la tentazione è forte e, conoscendolo, non resisterà alla tentazione di comprarsi la moto che sognava. Se fosse un po’ più formica che cicala, potrebbe invece impiegare in modo proficuo la cassa in eccedenza. Ad esempio potrebbe comprare dei titoli di stato e in questo modo alla fine del periodo avrebbe qualche decina di euro in più, sia di guadagno che di cassa.

Rischio n° 2: più utili che cassa

È il caso di Giacomo che, pur avendo guadagnato, è a cassa zero. Se, come abbiamo supposto, non ha soldi da parte, è costretto ad indebitarsi per sopravvivere. Per questo alla fine dell’anno si troverà con alcune decine di euro in meno perché dovrà corrispondere un interesse che ridurrà sia il suo guadagno che la sua cassa.

In conclusione

Se hai una grande azienda sia l’utile, sia la cassa sono monitorati mese per mese.

Se hai una piccola azienda l’utile te lo comunica il commercialista qualche mese dopo la fine dell’anno. Se puoi cerca di ottenere una situazione economica periodica, semestrale o trimestrale, per valutare in anticipo come stanno andando le cose.

La cassa la puoi tenere sotto controllo tu, ma ricordati:

  • se hai tanta cassa non vuol dire necessariamente che tu stia guadagnando molto;
  • se hai poca cassa non significa che tu sia in perdita.

Se vuoi approfondire questo concetto ed effettuare simulazioni, puoi leggere l’articolo dedicato all’effetto di incassi e pagamenti sul flusso di cassa.

22 commenti su “Utile e cassa: perché sono due cose diverse”

  1. Ecco, questo è veramente un messaggio importante per chi si appresta a mettersi in proprio. Capire che un conto è maturare un utile e un altro avere cassa. Purtroppo conosco persone che sono cadute nella trappola di Aldo, si sono spesi tutto e poi hanno chiuso quando sono arrivate le tasse da pagare. Complimenti Maurizio perché l’hai spiegato benissimo in modo molto chiaro.

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    • Grazie Paolo, se con i miei contributi riuscissi a metter in guardia chi ne ha bisogno dalle possibili trappole ne sarei veramente felice.
      Di solito chi si mette in proprio per la prima volta, durante il primo anno non paga tasse perché non c’è uno storico sul quale calcolarle.
      Poi a giugno del secondo anno deve versare tutte le imposte dell’anno precedente e l’acconto dell’anno in corso (40% di quelle dell’anno precedente) e a novembre il restante 60%. Poi la situazione si stabilizza ma chi non ha “messo da parte i soldi” spesso non regge l’impatto di cassa del secondo anno.

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  2. Maurizio, mi hai salvato la vita! Ho intenzione di aprire la mia seconda attività e solo adesso ho capito perchè in quella precedente è andato tutto male. Io che arrivavo dal lavoro dipendente, vedevo i soldi in cassa e mi illudevo che fossero miei invece non era così. Poi quando sono arrivate le tasse del secondo anno ho avuto una batosta tale da non riuscire più a risollevarmi, mi sono fatto prestare i soldi dai miei ma ho dovuto chiudere. Ma questa volta cercherò di non cadere nella “trappola di Aldo”!
    Grazie ancora, purtroppo queste cose non me le aveva mai spiegate nessuno e quando sei preso dal lavoro non hai tempo di pensarci ma poi la resa dei conti arriva.

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    • Ciao Salvatore,
      mi dispiace per tutte le tue disavventure. Non è semplice imparare ad applicare in modo automatico alcuni ragionamenti specie quando si arriva da un modo pensare differente. Poi bisogna anche farsi aiutare da qualche calcolo.
      Per la tua nuova attività ti consiglierei solo di aspettare che la ripresa sia completa. Forse non sarà mai come era prima ma almeno un po’ meno instabile di quanto è ora. O forse, prima o poi, l’economia andrà anche meglio di prima. (cerchiamo di essere un po’ ottimisti! 😉 )
      In bocca al lupo!

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  3. Buongiorno Maurizio,
    forse il discorso a cui accenni all’inizio dell’articolo l’hai sentito da me! Mi è capitato di parlarne nello stesso modo e solo ora ho capito che il tutto non aveva senso.
    Con questi semplici esempi mi sono chiarita molte cose.
    Grazie e complimenti

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  4. Buonasera Maurizio,
    ci tengo a farle i complimenti per quello che spiega e soprattutto per il modo in cui lo fa, semplice e pulito, comprensibile a tutti. Questi argomenti sono di vitale importanza per chi gestisce un azienda.

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  5. Buon giorno,
    io sono un lavoratore dipendente, vorrei aprire un attività di compravendita immobiliare, mi pare di aver capito che oltre al non essere compresa fra le attività “forfettarie”, a fine anno verrebbe tassato nuovamente anche il mio lavoro dipendente ( tra l altro già tassato in precedenza) perché andrebbe a fare cumulo. La mia domanda è: se io lasciassi tutti i ricavi sul conto dell srl, senza ritirarli, verrei in ogni caso tassato anche sul mio lavoro dipendente? Se vorrete aiutarmi ve ne sarei molto grato!

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    • Buongiorno Fabio,
      non mi occupo di consulenza fiscale e, inoltre, il commento non è pertinente con l’articolo al quale si riferisce, per cui mi spiace ma non posso risponderle. Le consiglio di rivolgersi ad un commercialista reperibile a questo indirizzo inserendo un CAP https://commercialisti.it/iscritti

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  6. Salve, lei è stato molto esaustivo.
    Ho capito tutto
    Ma quindi come si fa a prelevare questi soldi? Se il mio utile è 100 ma sul conto bancario ho 50 prelevo comunque 100 e vado in rosso?

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    • Buongiorno Simone.
      Non posso prelevarli altrimenti vado in rosso.
      L’averli “guadagnati” non significa averli disponibili e quindi poterli prelevare.
      L’utile è un “calcolo del maturato”, mentre la cassa rappresenta la disponibilità liquida effettiva, i “soldi”.
      Come imprenditore potrei non averli perché i clienti non mi hanno pagato, perché ho riempito il magazzino o perché ho fatto nuovi investimenti.
      Devo aspettare che i clienti mi paghino, che il magazzino si svuoti, che gli investimenti rendano.
      Così come un dipendente li ha guadagnati “gli spettano”, anche quando il datore di lavoro non lo ha ancora pagato.
      Purtroppo questa è la dura legge della “giungla” imprenditoriale.

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  7. Gentilissima risposta da parte sua.
    Ma quindi mi scusi, se chiudo il bilancio della mia società in positivo io perché devo comunque pagare tutte le tasse (irpef, inps, inail ecc) anche se poi quegli utili non ci sono?
    A questo punto è logico doversi indebitare con la banca credo, piuttosto che pagare le tasse su una somma che non hai neanche percepito.
    Oppure posso pagare le tasse comunque e prelevare gli utili man mano che arrivano in cassa?

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    • Buonasera Simone,
      gli utili, nel calcolo ci sono. Può essere che non siano in cassa ma, sì devo comunque pagare tutte le tasse. Così come potrebbe succedere che in cassa ce ne siano di più, che non sono miei, perché incasso subito e pago dopo (come il benzinaio). L’ideale sarebbe la sua ultima riga “pagare le tasse comunque e prelevare gli utili man mano che arrivano in cassa”. Talvolta però occorre indebitarsi per finanziare i motivi per i quali c’è poca cassa: crediti verso clienti, magazzino, investimenti. Questo nell’immediato risolve il problema ma poi occorre pagare gli interessi addebitati dalla banca.

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  8. Buongiorno e complimenti per la spiegazione molto esaustiva, mi sorge una domanda alla quale non sono certo nell’orientamento della risposta: se ho un’azienda che guarda molto ai margini (ridotti) con i quali lavora è meglio sacrificare la cassa beneficiando dello sconto valuta (acquisto merce) quindi incrementando il margine di guadagno, oppure lavorare con i soldi del fornitore rinunciando a quello sconto? Ovviamente questa scelta determina una scelta tra utile e cassa…..

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    • Buongiorno Emmanuele.
      Ha colto un un punto molto interessante e un dilemma che spesso non ha una soluzione ben definita.
      Come giustamente dice lei, accettare dal fornitore uno sconto per pagamento immediato migliora i (già risicati) margini ma peggiora il flusso cassa. Viceversa rifiutarlo non va a beneficio dei margini ma della cassa.
      La scelta dipende in primo luogo dalle priorità aziendali del momento. Semplificando (ed estremizzando):

      • i margini tengono, ma abbiamo problemi di cassa;
      • i margini si erodono continuamente, ma abbiamo disponibilità di cassa.

      In questo caso a scelta è quasi obbligata.

      Purtroppo esiste anche la situazione di difficoltà su entrambi i fronti sia di redditività, sia contemporaneamente di liquidità. In questo caso occorre dare “un colpo al cerchio e uno alla botte”.
      Si potrebbe azzardare un rapido (e approssimato) calcolo come nell’esempio che segue:

      • sconto 3% per pagamento immediato, prezzo pieno per pagamento a 90 giorni;
      • tasso di interesse bancario 6%.

      Il 3% per 3 mesi corrisponde (grossomodo) al tasso del 12% annuale (a favore)
      Se la banca mi dà la disponibilità di denaro ad un tasso effettivo (comprensivo di commissioni e spese) del 6% (a sfavore), conviene accettare lo sconto.
      Il problema è l’eventuale disponibilità della banca che valuterà l’esposizione attuale confrontandola con i mezzi propri dell’imprenditore, e che potrebbe applicare un tasso maggiore o rifiutare il credito.
      Il tutto valutato alla luce della situazione aziendale, della congiuntura attuale e delle aspettative future (es. margini calanti, tassi crescenti), scelta non facile.
      Spero di esserle stato utile.

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  9. Complimenti Maurizio per l’articolo: è riuscito a descrivere l’argomento con degli esempi chiari e concreti come molti altri non sono riusciti. Pur da ingegnere amante della matematica, le nomenclature usate da economia e finanza mi hanno sempre generato molta confusione. Una spiegazione come questa è perfetta per digerire bene questi argomenti basilari, grazie!

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    • Buongiorno Marco, grazie per i complimenti. E’ il mio obiettivo principale quando scrivo e quando spiego. Nella mia (lunga) esperienza didattica, ingegneri e matematici, una volta svelata loro la variegata terminologia economico-amministrativa, progrediscono più di chiunque altro nella comprensione della materia. Sono lieto se è stato così anche per lei.

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  10. buongiorno, complimenti per la chiarezza di questo articolo!
    Quanto è utile calcolare la posizione finanziaria netta? può essere accostata al concetto di utile? grazie

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    • Buongiorno Martina,
      grazie dei complimenti. Cerco sempre di essere il più chiaro possibile anche se quando si sfiorano gli aspetti fiscali diventa molto difficile.
      La posizione finanziaria netta è un indicatore dell’indebitamento netto di un’azienda e non è accostabile all’utile. Si calcola prendendo (dallo Stato Patrimoniale) il totale dei debiti di natura finanziaria (vale a dire con banche, ed enti finanziari esclusi quindi i debiti commerciali verso fornitori) e sottraendo il valore della cassa cioè delle disponibilità liquide.
      Rappresenta quanto l’azienda è finanziariamente esposta al netto della cassa con la quale potrebbe potenzialmente chiudere una parte di quei debiti.
      Per semplificare portandolo sul piano personale è come se io avessi un mutuo di 100.000 € e un finanziamento di 30.000, avendo sul conto in banca una giacenza di 9.000 € e 1.000 € nel portafoglio. La mia PFN sarebbe 100+30-9-1=120mila euro cioè quanto sono “fuori”.
      Per dire se è tanto o poco deve essere confrontata (divisa) con i mezzi propri o patrimonio netto. Se i miei mezzi propri sono 120.000 € il rapporto è pari a 1 e va bene. Se i miei mezzi propri sono 12.000 il rapporto è pari a 10 e non va per niente bene.

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